<i>"The Name of Our Country is América" - Simon Bolivar</i> The Narco News Bulletin<br><small>Reporting on the War on Drugs and Democracy from Latin America
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Narco News Issue #42

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Le/Gli zapatisti e L’Altra: i pedoni della storia III

Terza Parte: Il giorno più lungo dell'anno più lungo


di Subcomandante Insurgente Marcos
L’Altro Messico

24 settembre 2006

1 – L’anno 2006 inizia nel mese di gennaio… del 2004 - La mediocrità di Fox come titolare dell’Esecutivo federale e l’ambizione personale della sua consorte, Martha Sahagún, hanno avuto come risultato non solo che la disputa per la successione fosse anticipata, ma pure che si svolgesse con una sfacciataggine ed un’impudicizia senza precedenti.

Ad ogni modo, le “leggi” di base della politica dell’alto erano chiare. Il palcoscenico era, ed è, quello della politica neoliberale. Gli attori possono muoversi da un estremo ad un altro (che di fatto è quello che hanno fatto), ma senza uscire dal copione prestabilito (cioè conservando ed approfondendo”le variabili macroeconomiche”). La politica in alto era, ed è, ad accesso ristretto: lì possono starci solo i partiti politici ed il ruolo del cittadino è quello di spettatore silenzioso (che può solo applaudire o fischiare il giorno delle elezioni) e che guarda come si succedono gli scandali uno dopo l’altro. Inoltre, tutti gli “attori” (mai come oggi quell’appellativo calza così bene) politici devono riconoscere che il terreno dei mezzi di comunicazione di massa, è l’unico dove dirimere i loro affari. E nei, e dai, media si è costruito il nuovo referente della democrazia moderna: i sondaggi. I sondaggi sono diventati, allora, la versione postmoderna del “applausometro”. Non c’è stato lassù in alto, né c’è, nessun attore politico che non ricorra a loro.

Come si ricorderà, la lotta per la successione presidenziale acquisisce toni più forti dall’inizio del 2004. Grazie ad una serie di video fatti in casa Carlos Ahumada, in altri tempi capitano del PRD, viene usato dai grandi mezzi di comunicazione per colpire López Obrador. Persone vicine all’amministrazione lopezobradorista sono state viste da milioni di persone scommettere a Las Vegas e mentre ricevevano grandi quantità di denaro. Con una manovra nella quale era evidente la mano della “Coyota” Diego Fernández de Cevallos, i mezzi di comunicazione (soprattutto quelli elettronici) hanno usurpato le funzioni di pubblico ministero: hanno arrestato, giudicato e condannato… alla pena peggiore possibile per la classe politica messicana: il discredito mediatico.

Anche se lo scandalo era iniziato dal clan familiare del Partito Verde Ecologista, il colpo voleva arrivare direttamente a chi aveva avuto più punti dall’IFE reale, cioè, dai sondaggi: Andrés Manuel López Obrador. Questi, da parte sua, per difendersi è ricorso a quella che sarebbe diventata la sua frase più ripetuta ed il suo slogan preferito: “è un complotto“.

E lo era. Sia le riprese che le loro manipolazioni facevano parte di una manovra per colpire. La “coppia presidenziale” stava cominciando ad acquisire una speciale fobia: la lopezobrador-fobia, cosicché ha usato tutto l’apparato a sua disposizione e l’aiuto “disinteressato” di alcuni dei grandi mezzi di comunicazione per “curarsi” (sarebbe stato più economico, in tutti i sensi, andare da uno psicoanalista, ma Doña Martha era disposta a tutto per una semplice ragione: voleva dimostrare che era lei a comandare).

Però, né López Obrador né il PRD (né i numerosi apologisti che lo appoggiarono allora) hanno ancora risposto ad alcune domande fondamentali: perché quelle persone stavano accettando mazzette e facevano uso dell’erario pubblico? e perché quelle persone erano vicine al perredista? La grossolanità della manovra mediatica contro AMLO, ha impedito che si affrontassero tali questioni.

Dopo è venuto il tentativo di esautoramento, dove Fox non solo ha fallito, ma è riuscito a convertire López Obrador nel più sicuro pretendente, a livello nazionale, alla poltrona presidenziale.

2 – Un lungo, lungo 3 luglio - Se il 2006 sta diventando l’anno più lungo, il 3 luglio (il giorno in cui si sarebbe dovuto sapere chi era il nuovo presidente) è stato il giorno più lungo. Una frode del governo messicano e sostenuta da un settore dei grandi imprenditori e da alcuni dei grandi mezzi di comunicazione, ha imposto Felipe Calderón Hinojosa, del Partito Azione Nazionale, come presidente del Messico.

Il 3 luglio è iniziato il 2, alle 3 del pomeriggio, e si dilatato fino al 4 settembre, giorno in cui, nel Tribunale Federale Elettorale, 7 persone hanno usurpato il voto di milioni di messican@. Col verdetto del TRIFE (un vero “gioiello” di stupidità giuridica: “sì, c’è stato broglio, ma non ha intaccato il risultato“), si è arrivati al punto più acuto della crisi di quella che si chiama”democrazia rappresentativa” (cioè, elettorale) del sistema politico messicano.

Dopo milioni di pesos consumati in campagne elettorali da ridere, dopo ogni tipo di discorsi, spot, atti e dichiarazioni degli attori elettorali (soprattutto di quella mafia di criminali che si chiama “Istituto Federale Elettorale”) sul valore del voto e sull’importanza della partecipazione cittadina; dopo i/le mort@, i/le desaparecid@s, i/le prigionier@, i/le colpit@ nella lotta per il legittimo diritto alla democrazia, dopo riforme ed aggiustamenti, dopo la “cittadinizzazione“ dell’organo elettorale, è venuto fuori che la designazione del titolare dell’esecutivo federale non era avvenuta grazie al maggior numero di voti espressi, ma invece grazie alla decisione di 7 “giudici”.

Se la concretizzazione della frode elettorale ha tardato più di 2 mesi una causa fondamentale sono state le azioni di resistenza del movimento cittadino che è incapeggiato, diretto e comandato da Andrés Manuel López Obrador.

Sulla frode, il 3 luglio alle 20, nel programma radio “Politica di Strada” (del Fronte del Popolo-UNIOS, aderente alla Sesta) abbiamo denunciato e abbiamo dato pubblicamente il numero dei voti manipolati (un milione e mezzo). Questo ha fatto sì che da Los Pinos si ordinasse al padrone della stazione radio di chiudere e cancellare il programma (dopo abbiamo saputo che il veto si era esteso a tutte le stazioni radio e che, curiosamente, è poi stato “tolto” dopo che il TRIFE ha convalidato le elezioni). La denuncia (e la successiva cancellazione del programma) aveva ricevuto solo il disprezzo dal “lopezobradorismo illustre“ e solo dopo più di una settimana, i leader hanno incominciato a rendersi conto ed a denunciare, quanto era successo.

Quello che qui denunciamo è ciò che sappiamo di una parte della storia di una delle frodi più rozze e sporche nell’estesa vita della classe politica messicana. Le informazioni ci sono arrivate da persone che, “da dentro”, sono state testimoni diretti. Anche se non è possibile convalidare l’informazione (non ci sono registrazioni né video), se ne può dare la conferma “incrociando” i dati che, giunti da diversi cittadini senza partito, sono stati resi noti pubblicamente.

2 luglio 2006 – ore 15 - Gli ultimi sondaggi danno come vincitore il candidato della “Coalizione per il bene di tutti“, Andrés Manuel López Obrador, con un vantaggio da un milione ad uno e mezzo di voti sul candidato di Azione Nazionale, Felipe Calderón Hinojosa. Nella residenza ufficiale de Los Pinos, la “coppia presidenziale” riceve la notizia col viso lungo. Avevano sbagliato i conti. Secondo loro, la gigantesca campagna di discredito contro López Obrador, così come le manovre della Lady Macbethautoctona (Elba Esther Gordillo) per il trasferimento voti dal PRI verso il PAN, sarebbero bastate per superare AMLO di circa un milione di voti. Ma il Piano “A” per imporre Calderón stava fallendo.

  • Il Piano A - Secondo i calcoli di Los Pinos, in un universo di circa 40 milioni di elettori effettivi (il 40 % di astensionismo se l’aspettavano tutti gli attori politici da settimane prima delle elezioni), López Obrador avrebbe avuto circa 15 milioni di voti e Calderón e Madrazo si sarebbero aggirati intorno ai 13 milioni. Ma “la maestra“ aveva promesso il “trasferimento” di 3 milioni di voti, “espropriati” dal patrimonio di Madrazo, verso il conto del panista. Il risultato sarebbe andato al pelo: 16 milioni per Calderón, non più di 15 per López Obrador e Madrazo con 10 o meno. Con una buona manipolazione dei media, si sarebbe conseguita la “legittimità”, perché sarebbe stata una manovra “pulita”, cioè senza conseguenze nei voti e nei seggi. Sarebbe stata un’elezione esemplare, senza quei “vizi” con cui il PRI aveva marcato i processi elettorali prima della “era di Fox”: né “ratones locos“, né “casillas zapatos“, né “operazione tamal“, né furto di urne, né tutti quanti gli eccetera che dovevano ormai restare retaggio del passato.

    Ma i conti non stavano tornando: quel 2 luglio López Obrador poteva arrivare fino a 15 milioni e mezzo, mentre Calderón non sarebbe arrivato ai 14 milioni. Non c’era più tempo per reclutare ed abilitare i vecchi “alchimisti” del PRI (inoltre, alcuni di loro – come José Guadarrama – erano ormai dei candidati del PRD).
  • Il Piano B - Sull’orlo di una crisi di nervi, Martha Sahagún di Fox, fa pressioni sull’autodenominato presidente del Messico, Vicente Fox Quesada, perché si metta in contatto con “la maestra” Elba Esther Gordillo. Fox, dato che c’è abituato, obbedisce alla signora Sahagún ed il “telefono rosso” lo mette in contatto diretto con la Gordillo. Lei conferma l’informazione: López Obrador avrà un vantaggio di circa un milione di voti. “Che facciamo? “, domanda Fox. “Voglio parlare con Felipe“, risponde Elba Esther. Le lancette dell’orologio non arrivate a segnare un’altra mezz’ora, quando inizia una conversazione tripartita:

    Vicente Fox – Maestra, Felipe è già in linea – Elba Esther Gordillo – Felipe? – Felipe Calderón – Sì? – Elba Esher Gordillo - Voglio farti un’offerta a cui non potrai dire di no… -

    Finita la conversazione telefonica, si avvia il Piano B: seguendo le indicazioni della Gordillo, il signor Fox fa una nuova telefonata, questa volta al signor Ugalde, presidente dell’IFE. Gli chiede di “gestire” il PREP affinché appaiano, per primi ed in quantità adeguata, i risultati che fanno vincere Felipe Calderón su López Obrador (da questo sono derivati gli strani ed anomali comportamenti delle “curve” dei risultati – denunciati da vari specialisti e che hanno trovato soprattutto spazio, grazie al giornalista Julio Hernández López nella sua colonna “Astillero” nel quotidiano messicano La Jornada).

    Un nuovo appello ai grandi consorzi della comunicazione accorda il silenzio sui risultati dei nuovi sondaggi. La versione accordata era che non si poteva dare un risultato definitivo, che bisognava aspettare che l’IFE (ah, sì?) desse i risultati. Una bricconata. I grandi mezzi di comunicazione avevano fatto quello che volevano con “le istituzioni elettorali” ed avevano imposto (con l’accordo di TUTTI i partiti e di TUTTI i candidati) la cultura dei sondaggi come “modello democratico”. Non poteva che far ridere ascoltare i signori Joaquín López Dóriga (annunciatore di Televisa e ministro di fatto nell’area della comunicazione) e Javier Alatorre (annunciatore di Tv Azteca), così come i loro “specchi” alla radio e sulla stampa, che invitavano ad aspettare le decisioni delle “autorità elettorali”.

Alla fine, tutto questo aveva l’obiettivo di guadagnare qualcosa di fondamentale: il tempo.

Tempo, ho bisogno di tempo“, avrebbe detto “la maestra” Elba Esther Gordillo nella parte culminante della conversazione tripartita con Fox e Calderón. “Mi dia poche ore ed io me ne faccio carico“, ha detto prima di concludere la telefonata.

La Gordillo incomincia allora ad attivare la rete telefonica (inclusa quella satellitare) che aveva montato “in caso di estrema necessità”. “La maestra“ impartisce ordini ai suoi operatori ripartiti in punti chiave della geografia elettorale. L’ordine è semplice: modificare i verbali.

L’assenza di rappresentanti della “Coalizione per il bene di tutti” in una parte strategica dei seggi elettorali è stata di grande aiuto. I giornalisti Gloria Leticia Díaz e Daniel Lizárraga, del settimanale messicano Proceso (#1549, 9 luglio 2006, “Le reti, un fallimento”), segnalano come le cosiddette “reti cittadine” abbiano complicato la partecipazione della Coalizione nella vigilanza dei seggi, oltre alla sfiducia di AMLO nella struttura del PRD e alla compra-vendita di scrutatori: “Secondo informazioni ufficiali del PRD, a questa organizzazione parallela (si stanno riferendo alle reti cittadine) è stata destinata la maggior parte delle risorse, circa 300 milioni di pesos, che sono stati amministrati da (Alberto) Pérez Mendoza. Solo una settimana prima del 2 luglio, López Obrador ha permesso che il PRD intervenisse, distribuendo le liste dei rappresentanti di seggio ai dirigenti locali per coordinare la vigilanza durante gli scrutini. Malgrado queste informazioni fossero già state pubblicate nell’IFE, nella campagna elettorale sono state negate ai militanti per prevenire il fatto che le liste fossero “vendute” al PRI o al PAN. Un perredista che ha ricevuto la lista dei rappresentanti di seggio a mezzanotte del venerdì 30 giugno, confida a Proceso che mentre ai militanti è stato proibito far parte della struttura elettorale, quando lui ha fatto un giro per coordinarsi con gli incaricati della vigilanza dei seggi, si è ritrovato che “sulle facciate delle loro case alcuni avevano attaccata la propaganda del PRI o del PAN, perciò domenica abbiamo dovuto implementare un operativo per vigilare i nostri rappresentanti”. Il 2 luglio - continua -è andato a cercare i rappresentanti che non erano andati ai loro seggi e questi hanno risposto che mentre il PRD dava loro 200 pesos per lo scrutinio, c’è stato qualcuno che ha dato loro mille pesos per non andarci. L’assenza di rappresentanti di seggio in tutto il paese è arrivata ad una media quasi del 30 %, il che ha debilitato necessariamente le aspettative di voto a favore di López Obrador, soprattutto nel nord e nel nordest del paese, zone originariamente assegnate a Manuel Camacho Solís e Socorro Díaz. Secondo i registri dell’IFE, la coalizione ha assicurato che in Nuevo León avrebbe coperto il 90,55 % dei seggi, ma da documenti interni del PRD - ai quali questo settimanale ha avuto accesso – consta che hanno contato sulla loro presenza solo in circa il 31 %“ (le sottolineature ed i grassetti sono miei).

Sì, “la maestra” aveva svolto bene il suo compito. In suo potere c’era l’informazione dettagliata non solo delle ubicazioni dei seggi, della composizione dell’elettorato e delle sue possibili simpatie politiche, ma anche coloro che dovevano essere i funzionari ed i rappresentanti di partito per ogni seggio. Cioè, sapeva dove “zoppicava” il sistema elettorale. Inoltre aveva “inserito” suoi uomini nella struttura di vigilanza elettorale della Coalizione.

Qui c’è l’essenza della frode. Un nuovo conteggio dei voti rivelerebbe la frode in modo nitido e trasparente: in un buon numero di seggi, quello che appare nei verbali non corrisponde ai voti che ci sono nelle urne.

La richiesta della Coalizione per il bene di tutti e del movimento cittadino diretto da AMLO di “voto per voto, seggio per seggio“ non è stata solo legittima e corretta, mirava anche a svelare dove, come e per chi era stata realizzata la frode. Ed ancora un “piccolo dettaglio” in più: il nuovo conteggio avrebbe rivelato che il vincitore delle elezioni presidenziali di luglio era stato, ed è, Andrés Manuel López Obrador.

È questa la ragione per cui sia Calderón, che l’IFE, che i mezzi di comunicazione complici nella frode, e poi il TRIFE, si sono rifiutati seccamente di rifare il conteggio. Il farlo avrebbe significato rendere evidente il trionfo elettorale di López Obrador ed avrebbe reso pubblica una lunga lista di delinquenti elettorali, nella quale sarebbe apparso al primo posto il presidente dell’IFE, Ugalde.

Anche se una parte del cretinismo “illustre“ del lopezobradorismo “ha comprato” immediatamente la versione che aveva perso le elezioni e si è lanciato in una Santa Crociata per cercare i responsabili della sconfitta (fra i quali: Marcos, l’EZLN e L’Altra Campagna), la verità è che:

  1. López Obrador ha vinto le elezioni presidenziali del 2 luglio 2006
  2. La presidenza e l’IFE l’hanno frodato
  3. Alcuni dei grandi mezzi di comunicazione hanno manipolato tutto il processo
  4. I sondaggi sono stati fatti per ingannarvi. I sondaggi non “misurano” l’opinione pubblica, la “creano”
  5. I loro organismi di partito e le reti cittadine sono stati inefficaci, si sono affrontati tra di loro ed alcun@ sono stati corrott@

3 – Altre menzogne - Nei giorni seguenti alle votazioni, dagli ambiti più diversi e più contrari, si è tentato di convertire in realtà una menzogna: che le elezioni del 2 luglio 2006 erano state quelle con maggior numero di votanti e che era stato abbattuto il livello dell’astensione. Ma non è altro che una grande falsità (quasi tanto grande come quella che afferma che Fecal ha vinto). Dal 1994 la caduta nella partecipazione elettorale è stata costante. Sottolineiamo solamente tre dati: mentre l’anagrafe elettorale ha registrato una crescita – dal 1994 al 2006 – di 26 milioni, il numero degli elettori è cresciuto solo di 6 milioni, cioè solamente il 23 % dei messicani che sono stati aggiunti all’anagrafe elettorale dal ‘94 ha votato nel 2006. D’altra parte invece, l’astensione è passata dal 22 % nel 1994, al 36 % nel 2000, ed è arrivata almeno al 41,5 % nel 2006. Inoltre, i voti per la presidenza sono scesi: Zedillo aveva poco più di 1 milione di voti in più di Fox, ma arriva a 2 milioni di voti in più di quelli che sono stati assegnati a Calderón (pur essendo l’anagrafe per le recenti elezioni del 76 % più grande di quella del 1994). L’astensione reale (includendo i voti annullati) è arrivata a più di 30 milioni di cittadini e la somma dei voti che sono dati a Fecal ed ad AMLO non raggiunge quella cifra.

4 – Perché la frode? - Una volta compreso il come, il dove e chi ha realizzato la frode elettorale, rimane da rispondere alla domanda sul “perché?”.

Se, come diciamo noi zapatist@, AMLO era la “migliore” opzione (“il meno peggio” secondo i cretini illustri), per dare continuità alla politica neoliberale ed avrebbe concretizzato con legittimità (e perfino con l’appoggio “critico” di intellettuali) le privatizzazioni del petrolio, dell’elettricità e delle risorse naturali (attraverso i coinvestimenti);

se la divrsità tra AMLO e Fecal non era fra due progetti di Nazione, visto che ambedue difendono le basi fondamentali del progetto neoliberale (cioè Trattato di Libero Commercio, privatizzazioni, un Messico di maquiladora, autonomia della Banca del Messico, pagamento puntuale del debito esterno e di quello interno, Messico come punto di passaggio per i grandi mercati del mondo -la proposta lopezobradorista contemplava il progetto transistmico, il treno ad alta velocità e la autostrada del secolo XXI-);

se non c’erano neppure differenzea nelle relazioni che stabilivano tra la società e la politica (cioè: gli affari politici spettano solo alla classe politica);

se era così, perché allora quelli in alto hanno optato per Calderón? I presupposti di questa domanda non sono prodotto del nostro “infantilismo radicale”. Intervistato da Elena Poniatowska, Andrés Manuel López Obrador le rispondeva così:

E.P. – Andrés Manuel, credo sinceramente che gli impresari non dovrebbero aver paura di te, perché se tu arrivassi alla Presidenza non li danneggeresti
AMLO - No, non lo farei. Si sono chiusi in una campagna elettorale della paura, si son lasciati trascinare e si sono bevuti tutta la leggenda nera ed ora si sono messi in un conflitto
E.P. – Arrivando tu alla Presidenza, toglieresti loro qualcosa?
AMLO - No, l’ho detto molte volte anche in piazza, ho detto che io non odio, che non è un mio forte la vendetta
E.P. – Come è possibile che non si rendano conto che nessun paese può andare avanti con un’immensa massa senza possibilità di spendere?
AMLO - Non se ne rendono conto perché non sono capaci di capire che non si può ottenere la governabilità del paese se non è possibile garantire la tranquillità, la pace sociale, la sicurezza pubblica in un mare, un oceano di disuguaglianza, che non si raggiunge la stabilità politica, sociale, economica, finanziaria, finché continua ad esserci questa situazione di ingiustizia, di abbandono, di ritardo, di povertà per la maggioranza della gente. Sono molto indietro, molto retrogradi
In sintesi, López Obrador offriva ai capitalisti tre cose fondamentali:

  1. L’ascesa di un governo che non si appropriasse di una parte così grande dell’eccedenza sociale. La corruzione proseguirebbe, ma con livelli di autocontrollo molto più sviluppati (e con meno esposizione alle videocamere).
  2. La capacità di controllo sociale che sarebbe alla base ed a garanzia degli investimenti di capitale. Un esempio: l’idea del transistmico c’era già dall’epoca in cui il “Piano Puebla Panama” era un pezzo di carta che girava, di ufficio in ufficio e da università a università. Naturalmente la realizzazione di questo progetto (che cerca di ridisegnare la geografia nazionale per mezzo di uno scorrimento delle frontiere), non ha potuto essere avviata né dal PRI né dal PAN. AMLO era fiducioso che avrebbe potuto contare sul consenso sociale per portar avanti questo progetto (che, è giusto ribadire, spianerebbe le popolazioni indigene della regione).
  3. La ricostruzione del potere statale, che permetterebbe un riadattamento della classe politica a non pensare solo più ai propri interessi personali, ma possa invece diventare uno strumento per costruire un progetto più a lungo termine, sempre nel quadro del neoliberismo.

Cioè, AMLO ha promesso loro uno Stato forte, governabilità, tranquillità, pace sociale, sicurezza pubblica e stabilità. Ossia ciò di cui ha bisogno il capitale per prosperare.

Perché allora i grandi impresasi non hanno “afferrato” l’offerta di López Obrador?

Si sono lasciati trascinare e si sono bevuti tutta la leggenda nera“, risponde AMLO (bene, i grandi impresari non sono stati gli unici che hanno creduto alla “leggenda nera“ che López Obrador era di sinistra; anche alcune organizzazioni politiche di sinistra, delle organizzazioni sociali e degli intellettuali).

Sì, AMLO ha ragione nella sua risposta: è stato perché hanno creduto che fosse di sinistra… ma anticapitalista. Ma non solo per questo. Qui avanziamo “altri” tentativi di risposta, sempre secondo il nostro pensiero come zapatisti:

Primo – L’affare del Potere – La politica nel Messico in alto dà molti guadagni (basta solo investire in un partito politico) ed il processo di privatizzazione delle due perle del vecchio Stato messicano (il petrolio e l’elettricità) lascerà milionari coloro che l’autorizzeranno. Se si dice che la PEMEX da sola vale 250mila milioni di dollari, possiamo capire quanto potrà incassare chi ne amministrerà la vendita. Così, la lotta per la presidenza è, soprattutto, la lotta per un affare molto lucroso.

Secondo – Il potere reale del Narcotraffico – Le privatizzazioni non sono l’unico affare per i politici (presidente, segretari di Stato, governatori, presidenti municipali, deputati e senatori), c’è anche ciò che si conosce come “amministrazione del narcotraffico” che consiste nel favorire uno dei cartelli. Nella “era” di Fox, si può dire che il cartello di Chapo Guzmán sia stato quello coccolato nel sessennio. Tutta la struttura dello Stato: esercito, polizia federale, sistema giudiziario (con giudici e direttori di carceri compresi) è stata messa al servizio di quel cartello nella sua lotta contro gli altri. Questa relazione è stata instaurata non solo da questo gruppo, ma sono riusciti ad inserire anche settori perredisti che, avendo vinto i posti a governatore, sono entrati immediatamente nel cerchio del negoziato con questo cartello, come nel caso dei governatori di Michoacán e di Guerrero. In questo modo, ancor più che nell’epoca del PRI, la classe politica fa parte del crimine organizzato. La Presidenza della Repubblica c’è di mezzo pure, perché quando un gruppo politico arriva al Potere che “amministra” l’apparato giudiziario, arriva anche dalla mano di qualcuno dei cartelli della droga.

Ma, nonostante i vantaggi che ha promesso AMLO ai padroni del denaro, alla fine la decisione non è stata a favore dell’opzione che si sta imponendo in tutta l’America Latina (col passaggio dei progetti neoliberali nelle mani di governi di “sinistra” che garantiscono la “lubrificazione” della barbarie capitalista). La ristrettezza di vedute della maggioranza della classe politica, e della parte principale della borghesia associata, li ha portati a scegliere il noto sentiero già sperimentato, provocando così la peggior crisi di dominio degli ultimi anni. Molto in alto, tra quelli che comandano realmente, si è deciso di imporre Calderón senza che importasse niente quanto sarebbe poi successo.

5 – I partiti politici - Il 2 luglio ha dimostrato che i partiti politici hanno smesso di esistere, sia per il processo di assimilazione della classe politica al crimine organizzato, sia perché non sono altro che l’ombrello elettorale di quello o quell’altro caudillo, o di quello o quell’altro padrone al di sopra delle frontiere. Nelle forze politiche in alto non esistono più nessuna delle caratteristiche che avevano una volta i partiti politici. Ora difficilmente sono qualcosa di più di un “cocktail” dove si mischiano impresari corrotti e criminali, con o senza il colletto bianco. Il programma, i principi, gli statuti? Ma, andiamo! queste sono cose da radicali infantili o da “ultras”.

Ma la crisi non è rimasta solo sul terreno delle istituzioni, è arrivata alla base delle manfrine della democrazia “moderna”: cioè della democrazia rappresentativa, cioè della democrazia borghese. La crisi dello Stato nazionale dà già la mano alla crisi della democrazia rappresentativa e con lei, a quella dei partiti politici.

Ma vediamo le differenti opzioni politiche che restano in alto:

  • PRI - Dalla parte del PRI, si è lavorato con l’illusione che il vecchio voto corporativo si sarebbe espresso nelle urne il 2 luglio. Il suo trionfo nelle elezioni statali del 2005 gli aveva permesso di lavorare alla variabile che, oltre ai sondaggi e per quanto repulsiva fosse la candidatura di Madrazo, il suo voto duro gli avrebbe permesso di vincere la presidenza. Si è dimenticato di tener conto della “maestra” Elba Esther Gordillo.

    Dall’altro lato, l’usura della vecchia struttura corporativa del PRI è più profonda di quanto si possa pensare. Le vecchie centrali operaie, sempre più rarefatte e sempre meno operanti, si sono divise quando la direzione della Confederazione Rivoluzionaria degli Operai e dei Contadini (CROC) ha deciso di appoggiare AMLO. In questo modo il PRI, e con lui tutta la vecchia struttura corporativa, è entrata in una profonda crisi senza che al suo posto si siano create nuove strutture di controllo burocratico. Le nuove centrali come l’Unione Nazionale dei Lavoratori (UNT), di vecchio estrazione priísta, hanno deciso di appoggiare AMLO con la convinzione e la promessa di costituirsi come nuovo organismo di controllo burocratico. È nato così un nuovo tipo di corporativismo, sotto l’ideologia di una “nuova cultura lavorativa”, molto vincolata ai padroni. Questa situazione nel PRI segna una delle caratteristiche essenziali della presente crisi: i vecchi meccanismi di controllo non solo non sono più operanti, ma sono soprattutto onerosi. Tanti anni di dominazione priísta provocano un doppio effetto: in primo luogo il PRI è incapace di rigenerarsi e secondo, il PRI si converte nel “l’ideale” da raggiungere come partito di Stato. Per questo, tanto nel PAN, come nel PRD e negli altri partiti “bonsai”, abbondano gli “ex-priísti”.

    PAN - Dal Partito Azione Nazionale sono state date le ultime palettate di terra sulla tomba che Vicente Fox gli aveva aperto. Il partito è stato solo uno schermo che è servito alla presidenza (per essere più precisi: a Martha Sahagún) per implementare la frode, non solamente quella del 2 luglio, ma pure quella di tutto il processo elettorale precedente: la relazione con le case di sondaggi, l’alleanza coi mezzi di comunicazione di massa, l’organizzazione di tutta una squadra di impresari e di organismi imprenditoriali per portare avanti una guerra mediatica contro AMLO, l’alleanza (che poi sarebbe una relazione di subordinazione) con l’Elba Esther Gordillo, l’ottenere risorse prodotto della protezione, in questo sessennio, del cartello della droga del Chapo Guzmán, ecc.

    Il PAN ha sofferto un processo di trasformazione definitiva: il vecchio partito democratico-conservatore che ha giocato un certo ruolo nella lotta contro il sistema di partito unico ha smesso di esistere in modo definitivo. Se il PAN era già stato abbastanza colpito con l’arrivo dei “barbari del nord”, questo processo si è acutizzato con l’arrivo della “coppia presidenziale”. Tutto ciò ha fatto sì che il PAN perdesse ogni identità e si trasformasse in un PRI azzurrato, soprattutto in quanto si riferisce all’utilizzo patrimoniale dell’apparato dello Stato a proprio beneficio, ai vincoli col crimine organizzato, ed all’abilitazione di funzionari che sono pagati per non fare il loro lavoro (le somiglianze tra Luis H. Álvarez “commissario per la pace” foxista ed Emilio Rabasa, che lo era stato per Zedillo, sono più di una).

    In parallelo un’organizzazione segreta di ultra-destra: “el Yunque”, ha preso il controllo della dirigenza di quel partito. Sebbene sia chiaro il carattere fascista di questa organizzazione, è indubbio che la destra non è una ed indivisibile (vedere i libri che ha scritto il giornalista Álvaro Delgado su questa organizzazione clandestina). La candidata presidenziale del Yunque era, in prima posizione, Martha Sahagún, poi c’è stato Santiago Creel. Il trionfo di Fecal nella disputa per la candidatura panista, ha obbligato il Yunque a riposizionarsi ed ora spinge per avere da Fecal gli stessi privilegi dei quali ha goduto con Fox.

    Fino ad ora, il PAN è stato incapace di trovare i meccanismi per costruire una modalità di dominio sociale stabile ed a lungo termine (che è ciò di cui ha bisogno il capitale per “investire”). Se i panisti non hanno la minor idea di che cos’è una politica di massa, la squadra di Fecal sta ancor peggio. Per questo, Elba Esther Gordillo sarà la nuova ideologa-operatrice-dirigente. Sì, una priísta dirigerà, in realtà, il PAN.
  • I partiti nani - Il PANAL ed il PASC sono stati due partiti creati proprio per la congiuntura elettorale. Il loro modo di agire evidenzia il reale obiettivo dell’attuale legge elettorale: lo stesso potere è quello che decide chi possono essere i suoi “rivali”. Non esiste nel terreno della legalità reale, nessuna possibilità di creare un partito politico autentico che entri nella disputa politica con indipendenza ed autonomia. La via elettorale è ora una strada chiusa per la lotta onesta.
  • PRD-PT-Cconvergencia – Fino a prima del 2 luglio, la Coalizione per il bene di tutti stava godendosi il suo trionfo… senza averlo ancora ottenuto. Gli intellettuali che ora gridano istericamente per l’arrivo dell’ultradestra al governo, si limitavano a ripeterci lo slogan “sorridi, vinceremo“ ed è noto a tutti che il 1° di luglio, lo squadra lopezobradorista si stava già spartendosi la vittoria. Ma parleremo ancora della Coalizione, del movimento di resistenza alla frode e della CND lopezobradorista.

6 – E in basso? - Bene, in basso è un’altra cosa…

(continuerà…)

*Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale
dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale
Commissione Sesta
Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, settembre 2006*

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