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Narco News Issue #39

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Quando anche l’acqua non è un Diritto Umano

Un popolo indigeno ha ancora meno diritti del resto di noi


di John Ross
Counterpunch

29 marzo 2006

“C’era una volta una piccola orfanella che doveva attraversare intere montagne ogni giorno per andare a prendere l’acqua (‘itzu’), perché l’acqua stava molto lontano”. Esperanza Garcia, una nonna india Purepecha della piccola città di montagna di Santa Cruz Tanaco, in Michoacan, racconta la storia che sua madre le ha raccontato. “Un giorno, l’orfana fece amicizia con un uccello (“Tzintzun”) e lui la condusse ad una sorgente segreta nella foresta. Le donne erano così felici di non dover più attraversare due montagne per andare a prendere l’acqua che sposarono l’orfana alla sorgente, e quando la immersero nell’acqua, un lungo serpente uscì fuori e questo fu il ruscello che ha portato l’acqua nella nostra città.” Esperanza aggrotta la fronte guardando il letto del fiume asciutto che corre accanto a casa sua. “Ora il ruscello è morto perché loro hanno tagliato tutti gli alberi e noi dobbiamo di nuovo camminare per ore per prendere acqua”. Disboscamenti sulle montagne Purepecha hanno devastato foreste e fonti d’acqua.

Le donne nel terzo mondo camminano in media sei chilometri ogni giorno per recuperare dell’acqua, secondo il ricercatore ambientale statunitense, Talli Newman. Ma le donne indigene non sono solo raccoglitrici di acqua, ma le loro custodi. “Come il mais, noi siamo nati dall’acqua” spiega Maria de la Cruz, una madre maya Tzotzil e leader della comunità di San Felipe Ecatepec, appena fuori San Cristóbal de las Casas, sugli altopiani del Chiapas – i Maya sono il Popolo del Mais secondo il loro libro sacro, il Popol Vu.

De la Cruz vive a cento metri da un impianto di imbottigliamento della Coca Cola che estrae 1,7 milioni di litri di acqua ogni anno dalle falde locali, lasciando il 70% delle famiglie di Ecatepec senza acqua corrente. Il prelievo annuale dell’impianto equivale al quantitativo assegnato a cinque villaggi indigeni all’anno sugli altopiani. “Sì, noi siamo fatti dall’acqua, ma io non posso nemmeno lavarmi” dice De la Cruz sorridendo con amarezza. Il Chiapas è la regione dove sono presenti i più grandi fiumi del Messico, ma ancora il 68% dei suoi 1,3 milioni di abitanti indigeni non hanno acqua potabile.

Un terzo di tutta l’acqua del Messico arriva dalle terre indigene, mentre molte comunità indigene non hanno accesso al prezioso liquido. Le donne Mazahua di Villa de Allende, nello stato di Mexico, sono così esasperate che hanno formato un esercito – l’Esercito Zapatista delle Donne Mazahua in Difesa dell’Acqua (non correlato all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale).

La terra Mazahua costeggia il sistema idrico del fiume Cutzamala, la principale fonte d’acqua per Città del Messico, a 100 miglia ad est. 16.000litri cubi al secondo escono dalle loro terre, mentre otto dei loro villaggi non hanno condotte d’acqua, perciò i Mazahuas stanno chiedendo risarcimenti fin dagli anni ottanta quando fu inaugurato l’impianto di Cutzamala. Seccamente respinti più volte dalle autorità dell’acqua, i Mazahuas hanno minacciato di chiudere le valvole che portano l’acqua alla capitale messicana. Come risposta, la Commissione Nazionale dell’Acqua (CONAGUA) ha mandato 500 elementi della polizia di stato ad occupare i loro villaggi.

“Prendono i nostri uomini per i capelli”, dice ai giornalisti la Comandanta Victoria Martinez dell’Esercito Mazahua, “ma adesso dovranno confrontarsi con le donne”.

Questo mese di marzo, l’Esercito Zapatista delle Donne Mazahua In Difesa dell’Acqua ha marciato su Città del Messico per presentare il loro caso al Forum Mondiale sull’Acqua convocata da questa megalopoli asciutta dal 16 al 22 marzo.

Città del Messico era un luogo adatto per tenere il quarto Forum Mondiale sull’Acqua (WWF), un conclave triennale organizzato dal Consiglio Mondiale dell’Acqua, l’organizzazione “non-governativa” di industriali, grandi agricoltori e profittatori dell’acqua che predicano la privatizzazione e mercificazione dell’acqua.

Sorta nel cuore di un sistema formato da cinque laghi, l’isola azteca di Tenochtitlan era un paese delle meraviglie d’acqua, con canali, fontane, acquedotti e fattorie galleggianti (“chinampas”). Ma i conquistatori europei erano persone a cavallo con poco rispetto per una cultura basata sull’acqua, così tagliarono gli alberi sui pendii circostanti ed insabbiarono i laghi.

Oggi, Tenochtitlan/Città del Messico è prosciugata. Il poco rimasto nelle sue falde viene estratto in quantità doppia alla percentuale necessaria per il reintegro, ed i 21,3 milioni di residenti nell’area metropolitana ricevono solo 84 litri pro capite all’anno, un ventiquattresimo della media nazionale. Il servizio è così scarso nei quartieri ai margini della città che gli scarafaggi escono dai rubinetti. In altri quartieri poveri, la sola acqua disponibile arriva dalle cisterne (“pipas”) mandate dai partiti politici e la gente è costretta a vendere il loro voto per un sorso d’acqua pulita.

L’acqua è una questione di classe in Messico così come di genere e razza. Mentre il campo da golf verde e lussureggiante delle élite viene innaffiato quotidianamente ed abbondantemente, i poveri hanno pochissimo tempo per spegnere solo la sete.

Effettivamente, gli zampilli sgorgavano nel centro convegni di Banamex nel ricco quartiere di Polanco, questo 16 marzo, quando il WWF ha aperto le sue porte al pubblico – Banamex, la banca più antica del Messico, ora è proprietà assoluta di Citigroup. Proprio per dare il tono giusto alla società, tra gli sponsor di questa edizione del forum c’era la Coca Cola di Atlanta, Georgia, che, secondo la ONG War on Want, succhia 282 miliardi di litri d’acqua pubblica del mondo ogni anno.

Il presidente messicano Vicente Fox, una volta presidente della Coca Cola qui e in America Centrale, ha aperto la sessione riempiendosi la bocca con le radici indigene dell’acqua citando dal Popol Vuh e dalla poesia del re azteco Nezahualcoytl. Fox è stato poi seguito dal direttore di CONAGUA, Cristobal Jaimes – prima che Fox lo nominasse alla CONAGUA, Jaimes, il proprietario dei più grandi caseifici del Messico ed importante imbottigliatore d’acqua, è stato il numero uno della nazione come consumatore industriale d’acqua.

A muovere i fili dietro le quinte del quarto Forum Mondiale dell’Acqua, c’era Aquafed, la lobby di pressione per la privatizzazione dell’acqua nel mondo, che rappresenta società come la Suez francese, Aguas di Barcellona, Biwater, e Thames River. Un’altra potente lobby allo show del WWF è stata Bursen & Marstellerle, addetta alle “pubbliche relazioni” per Washington, pubblicitaria di sanguinari dittatori come Baby Doc di Haiti, Rios Montt in Guatemala e la giunta militare assassina dell’Argentina. Bursen & Marsteller ha organizzato l’esposizione dove erano disponibili spazi per i gruppi di preservazione dell’acqua a 600 dollari al giorno. Il Great Unwashed è stato invitato a tirare fuori 120 dollari per ogni giorno di ammissione.

L’Esercito Zapatista delle Donne Mazahua In Difesa dell’Acqua non ha voluto pagare per l’ammissione. Avvalendosi delle simpatie della comunità delle ONG, ha travolto gli addetti alle biglietterie e le donne sono andate a cercare Jaimes di CONAGUA (“io non posso risolvere il vostro problema” aveva detto loro prima.) Respinte dalle guardie della sicurezza, le comandanti hanno formato un picchetto e cominciato a gridare “Vogliamo Acqua!”. Con i loro fucili di legno, machete nei foderi, gonne lunghe, sombreri da coltivatori ed uno sguardo così torvo da poter fermare il traffico, le donne hanno terrorizzato gli organizzatori. “Questo è quello che accade quando noi gli permettiamo di staccarsi dal loro macina mais”, ha detto sogghignando all’orecchio di un giornalista de La Jornada Cesar Herrera, sotto segretario di CONAGUA.

Ma in gran parte, i difensori dell’acqua pubblica sono rimasti fuori, a realizzare manifestazioni (in 20.000 all’apertura del WWF), forum alternativi ed anche un Tribunale Latino Americano dell’Acqua. Popoli indigeni dal nord e Sud delle Americhe sono venuti a confrontarsi. Hopis dal New Mexico hanno portato una zucca della loro acqua sacra. “L’acqua è un regalo della nostra madre terra. Non appartiene a noi”, ha detto Josephine Mandanin, una custode dell’acqua di Ojibwa. Waleigh Jones, portavoce Dine (Navajo) della Coalizione dell’Acqua della Montagna Nera, ha raccontato di come la Peabody Coal Company ha costruito una conduttura di 200 miglia che porta quantità enormi di acqua indigena alle sue miniere. Come in territorio Mazahua, il 50% di quelli che vivono lungo la conduttura non ha accesso ad acqua potabile.

Con i suoi giganteschi corsi fluviali, l’America Latina è la più importante fonte d’acqua del mondo ma presenta il tasso di consumo pro capite più ridotto del pianeta, secondo i dati della Banca Mondiale presentati al WWF. La difesa dell’acqua nel cuore sud del continente si è cristallizzata in territorio indigeno nel 2000, quando la maggioranza Aymara e la popolazione Quechua di Cochabamba, Bolivia, si ribellò contro la multinazionale Bechtel Corporation che aveva preso in gestione il sistema idrico locale ed aveva aumentato del 300% le tariffe. Decine di migliaia di persone si accamparono nella piazza della città indigena per un mese fino a che la Bechtel retrocedette. “La guerra in difesa della nostra acqua ci ha mostrato il potere di quelli che stanno in basso”, ha affermato Oscar Oliviera, un dirigente del movimento in difesa dell’acqua di Cochabamba che ha testimoniato al tribunale alternativo.

Ma Oliviera ha avvertito che i privatizzatori dell’acqua adesso hanno spostato le loro mire su un’altra fonte di acqua indigena – il bacino del Guarami del Paraguay, la più grande riserva della terra di acqua dolce. Con il pretesto della Guerra al Terrorismo di Bush, truppe Americane hanno stabilito una guarnigione strategicamente situata sulla Triplice Frontiera (Paraguay, Brasile, Argentina) vicino alle spettacolari cascate di Iguazu.

“Noi dobbiamo vigilare su chi vorrebbe trasformare l’acqua in una merce. L’acqua è un diritto umano fondamentale”, ha enfatizzato Oliviera.

La lotta per includere l’acqua come un diritto umano fondamentale nella sessione finale de WWF, è stata portata al forum dal segretario per l’acqua della Bolivia (nessun altro paese ha un segretario per l’acqua) Abel Mamani, un leader popolare della città Aymara di El Alto, che è stata bloccata in una battaglia titanica col colosso francese Suez, che da anni fa affari in Bolivia come Aguas Ilumani. Insistendo sul fatto che lui non avrebbe firmato la dichiarazione finale se l’acqua non fosse stata dichiarata un diritto umano universale, a Mamani si sono uniti Venezuela, Cuba, e Uruguay (ed in forma minore Honduras, Francia, e Spagna) ma la rivolta è stata rapidamente soffocata. “Il diritto all’acqua non è attinente a questo forum”, ha detto alla stampa Jamal Shagir della Banca Mondiale. Laic Fouchon, presidente del Consiglio Mondiale dell’Acqua, ha definito le osservazioni di Mamani “scortesi e sgradevoli” perché il boliviano aveva denunciato che 2.000.000di bambini muoiono ogni anno per mancanza di acqua pulita.

Secondo la dichiarazione finale del Forum Mondiale dell’Acqua, l’acqua non è un diritto umano fondamentale per le persone del mondo in generale ed i popoli indigeni in particolare. Anche se loro sono la fonte della maggior parte dell’acqua delle Americhe, i popoli indigeni non sono stati citati nel documento finale del forum.

John Ross sta terminando il suo “Un altro mondo possibile – Cronache Zapatiste 2000-2006” che sarà pubblicato questo autunno da Nation Books.

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