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Narco News Issue #40

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Le spagnole espulse preparano la domanda per poter tornare in Messico

Testimonianza del Collettivo di Solidarietà


di Lourdes Godínez Leal
Cimac Noticias

7 giugno 2006

María Sostrés Tarrida e Cristina Valls Fernández, le due spagnole che hanno subito le aggressioni sessuali da parte dei poliziotti durante l’operativo di Atenco in maggio, hanno manifestato il loro desiderio di ritornare in Messico e si son dette preoccupate per la situazione dei detenuti e delle detenute.

Così hanno detto a Cimacnoticias, membri del Collettivo di Solidarietà con la ribellione zapatista di Barcellona che si trovano in visita in Messico, come parte della Commissione Civile Internazionale di Osservazione dei Diritti umani e che sono stati in contatto permanente con entrambe le due ragazze dal loro ritorno in Spagna.

Iñaki García García, del Collettivo, ha ricordato che le due ragazze sono state espulse dal paese quasi un mese fa e non potrebbero ritornare per cinque anni.

García García riferisce che sono venute in Messico perché erano interessate a visitare le comunità indigene e che “la loro esperienza qui, prima di quei fatti, le ha segnate per tutta la vita in senso positivo“.

Il Collettivo è stato in contatto permanente con María e con Cristina e sono stati gli unici a riceverle al loro arrivo all’aeroporto quando sono state deportate e da allora le hanno appoggiate e si erano pure incaricati di avvisare i loro parenti su quanto era successo in Atenco.

Ricordando quando sono arrivate, Iñaki non può trattenere le lacrime: “Loro erano coscienti che i maltrattamenti che avevano subito non erano assolutamente paragonabile, visto che sono straniere, a quelli che ha dovuto subire la gente del Messico” ed aggiunge che gli dicevano che “erano state in un certo qual modo privilegiate“.

Tanto María come Cristina hanno raccontato loro che al momento dell’operativo i poliziotti “le trattarono allo stesso modo degli altri“, ma quando sono arrivate in prigione “hanno incominciato a differenziare il trattamento“. Quando sono arrivate in prigione, le hanno separate dal gruppo e le hanno interrogate.

Ma nel tragitto verso la prigione, nel camion, raccontano che come le altre donne, sono state insultate, vessate ed umiliate dai poliziotti che le urlavano “militanti dell’Eta e puttane bianche“. Inoltre non solo le donne furono violentate, loro stesse hanno presenziato alla violenza di due uomini, con un manganello.

Hanno la volontà ferma, riferisce Iñaki García, di fare ricorso e denunce, ma stanno ancora cercando di superare quanto è successo loro.

Alla domanda su com’è la loro vita è ora, l’attivista e difensore dei diritti umani ha risposto che per ora non hanno potuto riprendere la loro vita normale: “in questo momento hanno la vita rotta, non sanno che cosa fare” e ribadisce che “la loro maggiore preoccupazione è riuscire a ritornare“.

L’appoggio delle loro famiglie è stato incondizionato, ma si sono tenuti al margine perché le due ragazze sono molto indipendenti, anche se – aggiunge – è stato difficile per tutti accettare quanto accaduto.

Alla domanda se si siano sottoposte ad esami medici in Spagna, ha risposto che tutte e due sono ricorse al medico per presentare le lesioni per il pestaggio ricevuto: una presenta sanguinamenti da un orecchio e l’altra una spalla lussata. Hanno accettato di essere curate da uno psicologico.

Per entrambe è stato tutto molto difficile ed affrontare un processo giuridico lo sarà ancora più, ma sono disposte a presentare denuncia contro gli abusi e contro l’espulsione perché dicono che è stato illegale e ne stanno ancora precisando i dettagli.

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