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Narco News Issue #42

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EZLN: "Oaxaca non è sola. La APPO non è sola"

Comunicato zapatista del Delegato Zero a Zacatecas


di Subcomandante Insurgente Marcos
Enlace Zapatista

12 novembre 2006

Buona sera, Zacatecas:

Buona sera, compagni e compagne dell’Altra Zacatecas:

Siamo qui per tendere un lungo ponte di appoggio e solidarietà col popolo di Oaxaca e con il suo più legittimo rappresentante: l’Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca.

Oggi, mentre incombono nuove minacce di repressione su quel popolo fratello, oggi che la Polizia Federale Preventiva, quale esercito di occupazione, è un affronto sulle terre oaxaqueñe, oggi che quel patetico personaggio, Ulises Ruiz, si aggrappa ad una poltrona che nessuno gli riconosce, oggi diciamo a Oaxaca che non è sola.

Come zapatisti, noi dell’EZLN continueremo a mobilitarci nei nostri territori per appoggiare le sue giuste rivendicazioni.

Come parte dell’altra campagna, insieme a compagni e compagne di organizzazioni, gruppi, collettivi, famiglie, e a livello individuale, continueremo a diffondere la sua lotta, il suo esempio e le verità che sono occultate dai malgoverni e dai loro grandi mezzi di comunicazione.

Nel tratto già percorso nel nord del paese, abbiamo imparato che Oaxaca è molto più grande di come indicato sulla mappa del Messico.

Non solo perché abbiamo incontrato persone di Oaxaca, ma anche e soprattutto, perché sono grandi le lezioni di fermezza, decisione ed organizzazione che hanno dato a tutto il Messico del basso in queste dure giornate che stanno affrontando.

Oaxaca non è sola.. La APPO non è sola.

Compagne e compagni:

non siamo venuti solo a tendere il ponte della parola fino a Oaxaca.

Siamo arrivati fino a queste terre cercando le nostre uguali, i nostri uguali.

Non siamo venuti a cercare chi poter comandare o chi ci comanda. Non siamo venuti a reclutare o cercare di ingrandire la nostra organizzazione, l’EZLN.

Siamo venuti nelle terre zacatecane per cercare ed incontrare chi poter chiamare “compagno”, “compagna”.

Abbiamo percorso già parte del nord del nostro paese. Sinaloa, Bassa California Sud, Bassa California, Sonora, Chihuahua, Durango, la Comarca Lagunera.

Da tutte le parti abbiamo trovato gli stessi dolori e le stesse menzogne che quelli/e in alto impongono a quelli/e in basso.

Per esempio, la menzogna che il nord del nostro paese è differente dal centro e dal sud del Messico.

Come se, per decreto dei politici e dei grandi mezzi di comunicazione, si innalzasse tra i nostri popoli una frontiera in più, un muro di falsità dipinto con i colori azzurro e giallo.

Come se si trattasse di due Messico e come se il Messico del nord stesse al di sopra geograficamente e socialmente.

Come se non esistessero una storia, una cultura, un’esperienza comune e collettiva in quest’entità che chiamiamo “Patria”.

E come se non esistesse questo processo di distruzione e di vendita di rottami in cui i politici e gli imprenditori hanno trasformato la nostra Nazione Messicana.

Prendendo a pretesto un’immagine che, a parole, ci è stata regalata da un indigeno della tribù Yaqui in Sonora, la vecchia carretta porfirista è tornata a viaggiare per le terre messicane.

Le sue quattro ruote sono la spoliazione, lo sfruttamento, il disprezzo e la repressione.

La sua vetusta carrozza è dipinta indifferentemente di tricolore, di azzurro e di nero-giallo e sopra sono tornati a viaggiare comodamente, come una volta, l’alto clero reazionario, il latifondista, il padrone, lo straniero, il giudice corrotto, il poliziotto ed il soldato, avidi di sangue e di morte, l’intermediario, il banchiere, il grande commerciante, il padrone di fabbriche, di volontà e di vite, il politico vorace ed inutile, l’intellettuale prostituito.

Ma qualcosa è cambiato lungo il percorso di questa neocarretta: ora la distruzione che lascia al suo passaggio non coinvolge solo uomini e donne di tutte le età, di tutti i colori. Ammazza pure culture intere, forme di convivenza, identità.

Al suo passaggio la terra diventa merce e la terra muore; l’acqua diventa merce e si sporca, l’aria diventa merce e veleno.

E la Patria, quella storia comune che ci dà identità e radici, diventa merce e si trasforma in un mucchio di rottami su cui cammina solo l’insolente, il cinico, la canaglia, il traditore, l’antipatria.

Come 500 anni fa, quando l’impero spagnolo chiamava “civilizzazione” la conquista di queste terre compiuta con la croce e con la spada.

Come 200 anni fa, quando dalla nostra terra e dalle sue viscere usciva il frutto ed il metallo che alimentava il potente.

Come 100 anni fa, quando la schiavitù e la barbarie erano mascherate da “modernità” importata dall’Europa.

Oggi ci viene detto, ci viene ripetuto, ci viene gridato che non si può fare nulla, che così sono le cose, che non c’è rimedio, che così dev’essere, che un altro mondo non è possibile, che un altro Messico non è possibile, che un altro nord non è possibile, che un’altra Zacatecas non è possibile.

E se guardiamo solo verso l’alto potrebbe sembrare che abbiano ragione.

La Zacatecas che si è presentata a noi, che abbiamo trovato nello sguardo, nella parola, nell’ascolto e nel silenzio degli zacatecani del basso, non ha niente a che vedere con quella in cui la governatrice Amalia García si fa fotografare, si pubblicizza con le sue monumentali pubblicità, si promuove in televisione, alla radio e sulla carta stampata.

Qui abbiamo trovato quello che fanno e disfano i presunti governi di questa sinistra addomesticata e servile che dall’alto mente e dall’alto inganna.

Zacatecas rappresenta, meglio di qualsiasi altro stato che abbiamo visitato, gli effetti della politica neoliberale:

Da una parte, la distruzione e lo spopolamento di un territorio. La maggioranza dei municipi dello stato presentano un tasso di crescita negativo. L’esproprio di terre attraverso frodi legali, invasioni e lo strangolamento finanziario, ha avuto nelle campagne zacatecane l’effetto dell’esplosione di una bomba ad idrogeno: villaggi fantasmi, senza la gente che prima vi abitava e lavorava.

Tra le opzioni che il governo neoliberale perredista offre loro, gli uomini e le donne della Zacatecas del basso hanno scelto di emigrare verso le terre del nord disordinato e brutale che, dietro un ipotetico sogno americano, offre loro solo una realtà di sfruttamento, disprezzo, repressione e morte.

La maggioranza degli zacatecani non vivono in queste terre, ma in quelle degli Stati Uniti d’America.

L’economia dello stato non è generata sotto questi cieli, ma sotto quelli nei quali sventola la bandiera a sbarre e fosche stelle.

Due periodi di presunti governi di sinistra, e Zacatecas non esporta più fagioli, ma clandestini. Mentre 300mila tonnellate di fagioli marciscono nei magazzini a causa di quel crimine di Stato chiamato Trattato di Libero Commercio, quasi 2 milioni di dollari entrano nelle casse zacatecane provenienti dalle rimesse dei compaesani dall’altra parte.

Ma la distruzione e lo spopolamento non vanno soli. Li seguono la ricostruzione e la ripetizione.

A Tlacoaleche aumenta la popolazione, ma di garzoni, di immigrati indigeni di altre parti del paese che ora lavorano la terra che prima era di comuneros e di ejidatari, ed ora è di latifondisti e di imprenditori di ogni tipo.

Nella comunità di El Bordo, municipio di Guadalupe, la storia si ripete, e sono indigeni di Puebla, Oaxaca, Tlaxcala e Michoacán ad essere ammucchiati nelle galere ed obbligati a lunghe giornate di lavoro per meno di 80 pesos al giorno.

A La Noria di Los Angeles, il preferito della governatrice, Carlos Slim, con la sua impresa Minera Real de Angeles, distrugge la natura, avvelena e trasforma in denaro l’annientamento delle comunità.

A Bajío de La Tesorera, l’usurpazione, lo sfruttamento, il disprezzo e la repressione sono stati e sono di colore giallo e nero. I prestanome dell’ora fervente “difensore della giustizia e del rispetto della volontà popolare”, Ricardo Monreal, prima con “Constructora Plata” e poi con “Constructora Rivera y Rivera”, hanno cercato di umiliare ed ammazzare una comunità pacifica.

Con le esplosioni di dinamite della ditta costruttrice, sono state danneggiate le loro umili case. La comunità ha protestato e chiesto giustizia. Il governo ha risposto che avrebbe indagato. L’indagine ha dato come risultato che la colpa era degli abitanti “perché non avevano costruito le loro case a prova di esplosione di dinamite”. Non c’è stato risarcimento, ma ingiustizia accompagnata dalla burla fatta sentenza peritale.

Le emanazioni tossiche hanno iniziato ad avvelenare il sangue degli abitanti. Hanno protestato e chiesto giustizia. Le autorità hanno risposto che quelle malattie esistevano solo nella loro immaginazione.

Hanno disprezzato la volontà pacifica di La Tesorera. Ma l’hanno solo svegliata.

Con organizzazione e decisione, La Tesorera ha alzato la testa ed ha buttato fuori dalle sue terre le imprese di Ricardo Monreal, oggi uno dei dirigenti di questa favola per ingenui che si chiama Fronte Ampio Progressista e mano destra (in tutti i sensi) di chi, presentandosi come una falsa opzione di sinistra, è stato vittima della frode operata dall’assassina di maestri, cacique del magistero ed amica intima di Amalia García: Elba Esther Gordillo.

La comunità di La Tesorera si confronta ora con la minaccia della Minera Company che, con la benedizione del governo statale perredista, vuole aprire sei nuove miniere nel suo territorio.

Non sarà così. Se La Tesorera non si è arresa quando era sola, ora che è più forte grazie al ponte della parola “compagna”, ancor meno si arrenderà.

Nella Sierra de Morones, le comunità di Tocatic, Tlaltenango e Cicacalco, indigeni caxcanes resistono assediati da latifondisti mascherati da piccoli proprietari. I titoli vicereali che riconoscono che il territorio è loro, non sono rispettati da un governo che spende di più per farsi pubblicità che in dotare di acqua potabile, strade e servizi di base questi villaggi. Amalia si accontenta di dichiarare che si preoccuperà dei popoli indios, ma sono passati già due anni e non passa dalle dichiarazioni nei forum ai fatti.

A Fresnillo, un cacique dalle modalità porfiriste, il signor José Bonilla Robles, crede che essendo padrone di varie radio, lo è anche delle volontà e dei destini. E lì le donne disoccupate si organizzano per resistere, come gli studenti e le studentesse della Prepa 3.

A Villa de Cos, il presidente perredista, José María González Nava, si preoccupa più di usare il suo posto come trampolino politico per diventare deputato che di governare “per il bene di tutti” e lascia i suoi compiti nelle mani della polizia.

Anche nel quartiere “Cura Camilo Torres” si resiste e si lotta. Ed i tentativi di dividere falliscono.

La giustizia? Come con i governi panisti e priisti: una merce al servizio di chi la compra:

Gli ex-braccianti, riuniti nell’Assemblea Nazionale dei Braccianti, non ricevono né assistenza, né rispetto, né giustizia.

L’assassinio dell’attivista Manuel Ortega, al quale non è estraneo Ricardo Monreal, non è stato chiarito e non sono stati puniti i veri colpevoli.

Il magistero democratico è colpito da tutti i fronti da parte dei sindacati gialli che sostengono Elba Esther ed Amalia; i lavoratori dell’educazione negli istituti tecnici sono trattati come delinquenti perchè esigono i loro diritti e l’istituto magistrale di San Marcos vive e lavora sotto la minaccia costante della chiusura.

L’Università Autonoma di Zacatecas ha la sua autonomia solo nel titolo ed è un nido di molestatori sessuali, protetti dal rettore, Alfredo Femat Bañuelos, che si dice di sinistra e non è capace neanche di imparare il rispetto per le donne. Ma docenti e studenti, nelle facoltà, nelle scuole primarie e secondarie, incominciano ad organizzarsi.

I giovani, come in tutta la Repubblica, sono attaccati con violenza per rivendicare la loro diversità, la loro gioventù, la loro identità, la loro cultura, le loro modalità. Le altre e gli altri artisti nelle strade, nei quartieri e nelle comunità, fuori dai budget e dai riflettori, insegnano ed imparano.

Scendendo dalla Sierra de Morones, troviamo uno di quei monumentali cartelloni pubblicitari dai quali Amalia García ride in una foto ritoccata. Una frase è a fianco della sua immagine: “Benvenuti a Zacatecas”.

Il paradosso sta nel fatto che quel cartellone pubblicitario è posto in modo che lo vedano proprio quelli che escono dallo stato, in direzione di Jalisco. E sta anche nel fatto che la Zacatecas, che Amalia García dice di governare, è una landa distrutta, un deserto, un mucchio di rottami in vendita al miglior offerente.

Qualcosa di simile l’abbiamo già visto nella Sonora governata dal priista impanato, il signor Bours. Dov’è allora, la differenza tra il PRI, il PAN ed il PRD?

Così ci domandiamo: di che ride, signora governatrice? Di che cosa, se la Zacatecas che dice di governare non solo muore tra le sue mani, ma sono proprio le azioni del suo governo che uccidono questa terra di uomini degni e di donne degne.

Compagni e compagne:

è una bugia. Non è vero che un’altra Zacatecas non è possibile.

Nel 1914, la Divisione del Nord, col mio generale Francisco Villa in prima linea e con l’accompagnamento di Felipe Angeles e Pánfilo Nateras, librarono in queste terre la battaglia che spezzò la colonna portante dell’esercito huertista ed aprì la strada affinché si potessero incontrare, al centro del Messico, la Divisione del Nord e l’Esercito Liberatore del Sud, comandato dal mio generale Emiliano Zapata.

Così succederà di nuovo.

Ma, dato che quello che facciamo è molto altro, non saranno eserciti del nord e del sud quelli che si uniranno grazie a Zacatecas, ma le degne ribellioni che nel nord, nel centro e nel sud del paese fioriscono e nel cui seno non c’è solo il dovere di salvare la nostra Patria, ma ci sono anche la possibilità e la necessità di costruire un altro Messico, uno più giusto, più libero, più democratico.

Compagni e compagne:

cadrà Felipe Calderón. Cadrà anche costui che si dice legittimo e si porta addosso tutta la spazzatura riciclata che compone la classe politica messicana.

Cadrà Amalia García. E con lei tutto l’apparato di fuchi ed inutili funzionari che vivono solo di ciò che rubano a quelli in basso.

Cadranno i presidenti municipali.

Niente rimarrà di quanto oggi si crede eterno ed immutabile.

Allora potremo procedere ad un altro passo: il nostro.

Allora non ci saranno altre lacrime che quelle che ci strappano l’amore ed il disamore.

Non ci saranno altri dolori che quelli che ci lasciano coloro che amiamo quando alla fine sono abbracciati dalla terra che li vide nascere e lottare per renderla libera.

E non ci sarà altra angoscia se non quella di decidere, noi stessi, il nostro passo, la nostra velocità, il nostro ritmo, la nostra compagnia, il nostro destino.

Viva l’Altra Oaxaca!
Viva l’Altra Zacatecas!
E viva sempre Messico!
Libertà, Giustizia, Democrazia

Dall’Altra Zacatecas
Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, novembre 2006

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