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Narco News Issue #45

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Conferenza “Etica e Politica” Morelia, Michoacán - 11 giugno 2007

“Della Politica, Sua Fine e Principio”


di Subcomandante Insurgente Marcos
Enlace Zapatista

25 giugno 2007

La Fine della Politica

Vorrei iniziare la nostra partecipazione a questa tavola rotonda che, almeno nella mia percezione, non so nella vostra, è rettangolare, facendo un po’ di memoria.

Quando, nei primi giorni del gennaio del 1994, il sottosegretariato di governo di Carlos Salinas de Gortari, oggi eminenza della democrazia perredista e della CND lopezobradorista, Socorro Díaz, coniò il termine “trasgressori della legge” riferendosi ai combattenti dell’EZLN, non fece altro che onorare lo sproposito che illumina gli orizzonti degli zapatisti.

Sì, la trasgressione della legge, ai primordi della legge di gravità, è stata ed è una delle nostre aspirazioni. Vero che, durante il percorso, ci siamo impegnati a trasgredire altre leggi, a volte con fortuna mentre per altre stiamo ancora tentando, ma manca quello che manca.

Ma per quanto si riferisce alla trasgressione delle leggi, esplicite ed implicite, della politica messicana, è anche opera di questa tappa del capitalismo che si conosce come “globalizzazione neoliberale”.

Vorrei dilungarmi un po’ su questo, perché parlare di Etica in Politica sarebbe parlare di principi nella Politica, e per trasgredire ora la logica temporale, incomincerò non dal principio, ma dalla fine della Politica.

Dunque, ecco alcune tesi:

1 - Nel capitalismo, la Politica dell’alto è fondamentalmente una lotta per esercitare l’egemonia in una società, cioè per comandare. E, con questo Potere, omogeneizzare la società, cioè crearla, livellarla, modellarla secondo il criterio di chi comanda, ovvero, della forza egemone.

2 - Nella politica capitalista pre-moderna, cioè, fin da prima della tappa neoliberale, lo Stato era come la “madre” dell’individuo ed il “padre” era il Politico. Nel seno “materno” e con la vigilanza “paterna”, l’individuo “nasceva” socialmente ed imparava a mettersi in relazione con la società. Cioè, l’individuo imparava chi comandava e come doveva comportarsi, e le conseguenze di essere disubbidiente e di comportarsi male.

3 - Se nel capitalismo pre-neoliberale, nascevi e poi salivi o scendevi per essere vittima o boia, nella globalizzazione neoliberale c’è un cartello che dice “TUTTO ESAURITO”. Il Potere è arrivato nella tappa in cui riproduce gli sfruttatori dallo stesso DNA della mega impresa. È finita l’epoca di “studia, lavora, comportati bene, tradisci persone e convinzioni, e diventerai ricco”. O nasci Slim, o nasci sfruttato, derubato, umiliato e represso da Slim.

4 - Per il capitalismo, tutte le persone sono non-nate, cioè, non nascono, fino a che si incorporano nella logica egemone di questa società: la logica del mercato. Non so se lo fanno ancora, ma una volta, quando ero giovane e snello, le signorine “debuttavano” in società nei balli delle quindicenni. Con questa festa, la donna si presentava sul mercato della carne pronta per essere usata, non solo in senso sessuale, ma anche per la procreazione, il lavoro domestico e la promozione delle merci. Vero è che, adesso, per opera di alcuni governatori preziosi, preti, vescovi, cardinali ed industriali, bambine e bambini non devono aspettare di avere 15 anni perché i loro corpi siano usati e venduti. In senso più ampio, nel capitalismo, il “debutto” degli individui, il loro ballo dei quindici anni, avviene quando accedono al mercato… sia come venditori di forza lavoro, sia come consumatori di merci. Il culmine di questa loro iniziazione è il debutto sul mercato elettorale: l’individuo torna a “ballare” con la sua credenziale di elettore… anche se trova pessimi cavalieri (come Lázaro Cárdenas Batel).

5 - Questo vuol dire, tra le altre cose, che chi non ha accesso al mercato, o si rifiuta di accedervi, quindi chi non “debutta” in società, è un non-nato , non esiste, è superfluo nella società capitalista. Questo vale per gli indigeni, le donne ribelli, i ragazzi e le ragazze che si comportano male, e tutte e tutti quelli che resistono alla logica del mercato e cercano forme alternative e di autogestione, per esempio: nella comunicazione, nell’arte, nella cultura, nell’economia.

6 - Il lavoro del Politico dell’Alto era, quindi, mantenere in funzione l’incubatrice nella quale veniva introdotto l’individuo dal momento della nascita. Un’incubatrice che è come le lavatrici automatiche che le programmi ed incominciano a lavare, risciacquare ed asciugare in sequenza. Per questo ci sono la famiglia, la scuola, il lavoro, i mezzi di comunicazione, le elezioni, l’amministrazione della giustizia, la repressione poliziesca e militare, il governo… Il sogno di qualsiasi azienda costruttrice di elettrodomestici: una macchina che lava, risciacqua, asciuga, stira, piega e sistema nell’armadio sociale, in modo simultaneo, da tutte le parti, per tutto il tempo, da prima di nascere fino a dopo la morte (cioè, dai corsi prenatali fino alle imprese di pompe funebri, indulgenze papali comprese).

7 - Nel mondo globalizzato lo Stato ed i Politici non possono più compiere questa funzione. L’individuo non ha più una patria di riferimento, una cultura, una razza o una lingua, il ventre materno è ora quella mega-sfera che alcuni chiamano ancora “pianeta terra”. Il “cittadino” non è più prodotto del lavoro della politica nello Stato Nazione: ora la “incubatrice-lavatrice-stiratrice” è la megapolis, il mondo globalizzato. Se prima i parametri di “socializzazione”, cioè di “addomesticamento” o “cittadinanza”, dell’individuo erano quelli di una Nazione, ora sono quelli della globalizzazione neoliberale.

8 - Se il sistema capitalista risponde a se stesso che il suo modo di coesistere con gli altri in una società è dominandoli, allora di fronte all’esistenza di quello che non entra nella logica del mercato si domanda: come coesisto con i neo non-nati che la globalizzazione ha fatto proliferare? La risposta è con la carità… e l’eliminazione.

9 - Questo era lavoro dei Politici tradizionali. Cioè, mostrare il caos ed il disordine che implica la presenza di chi non ha un ruolo nella società, dire “guarda che casino”, mostrarsi come riferimento solido di ordine e razionalità, e procedere all’eliminazione dell’altro, dello strano, dell’inutile, del molesto, dello scomodo… cioè: l’indigeno, il diverso per preferenza sessuale, il giovane insubordinato, la donna ribelle.

10 - Ma la politica tradizionale, cioè come la conoscevamo una volta, non serve più a mantenere in funzione la società, per la riproduzione di uomini e donne sociali (intendendo “riproduzione” del senso più ampio, cioè le condizioni economiche, politiche, culturali e sociali per la loro riproduzione sociale), è diventata l’amministratore-contenitore dei disordini di questa riproduzione. Il megapotere, quell’ente di cui poco si sa, quello che noi zapatisti chiamiamo “La Società del Potere”, ora impone una riproduzione più importante: quella del denaro. Ed è questa che provoca il caos ed i disordini nella riproduzione delle persone.

11 - Questo è evidente quando vediamo che i politici tradizionali sono stati sostituiti da una generazione di yuppy della politica (Lázaro Cárdenas Batel in Michoacán ne è un esempio) senza nessuna capacità politica e nessuna capacità di governo; ma è ancora più evidente quando vediamo che il protocollo tradizionale della politica, quel complesso miscuglio di segnali e comportamenti, quello che si definiva “le leggi non scritte del sistema politico messicano”, non esiste più.

12 - Stiamo presenziando agli ultimi rantoli degli ultimi resti della classe politica messicana – e li stiamo subendo. L’antico assioma del vecchio Bismark secondo cui “la politica è l’arte del possibile” si è trasformato in qualcosa di più vicino alla realtà che subiamo attualmente: “la politica è l’arte della simulazione”. Le conseguenze di questa ridefinizione della politica non hanno a che vedere solo con il ruolo fondamentale che assumono attualmente i masmedia nella politica moderna. Ma anche con ridefinizioni e riaggiustamenti avvenuti nella classe politica messicana, nel suo ambito e nei suoi “usi e costumi”.

13 - In altri termini, la politica in Messico si è trasformata nell’arte dell’immagine pubblica, cioè della perfetta stiratura, dell’alta moda, del salone di bellezza, dei corsi di superamento personale e della presenza assidua e puntuale all’appuntamento col consulente d’immagine e con la società di sondaggi. La viltà, il cinismo, l’ipocrisia e la stupidità sono le nuove virtù politiche. Le repubbliche languono sotto il peso della monarchia dei media e la classe politica contende ad annunciatori e commedianti il ruolo di buffoni di Corte.

14 - Ma la classe politica messicana non partecipa sola al proprio funerale. Si porta dietro alcuni intellettuali progressisti nelle loro diverse sfaccettature: come scrittori, accademici, ricercatori, artisti, analisti, professori.

In questa tappa neoliberale, alcuni intellettuali si sono trasformati in slot-machine del Potere: inserisci una moneta ed esce una giustificazione. Se viene bingo , questa giustificazione può essere che abbia un minimo di coerenza.

L’illusione che una sinistra che non lo è arrivi al Potere e lo eserciti (Michoacán è l’esempio attuale) ha gettato buona parte dell’intellighenzia progressista nel sopore dell’oppio acritico. Con profonda (e petulante) coscienza della propria trascendenza storica, l’intellettuale progressista giudica ora l’avanzata democratica secondo la stabilità economica ed emotiva: bisogna vedere un palazzo di governo, un palazzo del sapere (un’università), un centro commerciale (cioè, un Palazzo di Ferro) ed un buon ristorante per sedersi alla tavola del Principe Idiota che è il politico messicano; per dire che ci sono stabilità e pace in Messico. Chiaro, intendendo “Messico” come quello che appare sui media elettronici, sulla stampa e nelle chiacchiere da caffè senza caffeina.

Ma l’ambizione neoliberale provoca disastri ed al Potere, al Politico ed all’Intellettuale danno nausea le destabilizzazioni. La frenesia moderna che l’atterrisce non è quella della velocità delle auto sul secondo piano [del periferico], ma delle lotte sociali.

Gli intellettuali si rivolgono ad un passato molto lontano per reclamare rispetto, considerazione, pena. La nostalgia diventa l’alibi di chi è stato dentro tutto (anche se non dice a far che), e l’ambito intellettuale somiglia a quei pomeriggi bucolici dove la tristezza era bella perché era propria, come è propria la masturbazione e l’andare in bagno.

Gli intellettuali della nuova farsa di classe politica sostengono la tesi della mutua dissuasione tra le classi in lotta. Quelli in alto si comportano come se avessero paura, quelli in basso devono comportarsi come se credessero che quelli in alto li temano. Tutti dobbiamo comportarci come se ci fossero democrazia, giustizia e libertà. E come se ci fosse un governo.

Se prima, per essere intellettuale progressista, bisognava vedersi decine di volte La Corazzata Potemkin, fino a poter predire una scena, adesso bisogna leggere le opere complete di Felipe González e Fernando Savater, credere che Aguilar Camín sia uno scrittore, che i governi perredisti siano progressisti, che Lázaro Cárdenas Batel sia governatore di Michoacán, che Julio Moguel abbia qualcosa nel cervello e che Leonel Godoy sia onesto.

Poiché in alto le relazioni tra gli uomini di successo sono di cameratismo e, guardando in basso, sorgono la povertà, la carità, l’amore benefattore, qualche aiuto per i perdenti, gli intellettuali del Potere non sono altro che stilizzati annunciatori del Teletón permanente della storia attuale della politica dell’alto in Messico.

Questa è, dunque, la fine della politica in Messico, della politica tradizionale, della politica dell’alto chiamata “Democrazia Rappresentativa”.

Dove dovrebbe esserci impegno e convinzione, c’è un’immagine truccata dalle strategie pubblicitarie.

Dove dovrebbero esserci programmi d’azione, ci sono affari.

Dove dovrebbe esserci critica, ci sono compiacenza e pigrizia mentale.

Dove dovrebbe esserci etica, c’è spudoratezza.

Dove dovrebbe esserci principi, c’è la fine.

Il Principio della (altra) Politica

L’Etica, c’è stato detto, ha a che vedere con principi universali quali la libertà, la giustizia, la vita. Inoltre, solamente questi tre enunciati hanno a che vedere con la comparsa dell’altro. Cioè, con la relazione sociale umana. Ma è anche vero che questi principi universali sono stati esclusi dalla pratica politica dell’alto.

Dice Don Durito de la Lacandona, uno scarabeo che ha scelto la nobile arte della cavalleria errante, che i principi sono le armi con le quali si può resistere e vincere a coloro che hanno fatto della malvagità il loro stile di vita.

Quell’irriverente scarabeo ha detto molte altre cose, è vero, ma ora vorrei soffermarmi su questa affermazione per dire quanto segue:

1 - La Globalizzazione Neoliberale produce anche un fenomeno di resistenza che, sempre di più ed in modo più radicale, comprende ampi settori della popolazione.

2 - Questa resistenza non è solo tra i settori tradizionalmente sfruttati. Ora appaiono nuovi “attori” che dicono “no” e con più radicalità di prima.
Appaiono, per esempio, gruppi sconcertanti: da una parte indigeni che parlano lingue incomprensibili (cioè, inservibili per lo scambio di merci), dall’altra giovani disoccupati che si mobilitano contro il governo ed esigono rispetto… inoltre, omosessuali, lesbiche e transessuali che chiedono il riconoscimento della loro diversità... ed ancora, donne che si rifiutano di ripetere i modelli di sottomissione, consumo e riproduzione.

3 - Questi fenomeni di resistenza cercano di entrare in comunicazione con fenomeni simili in altre parti della loro realtà immediata. Iniziative come L’Altra Campagna sono luoghi d’incontro per chi non scambia merci e capitali, ma qualcosa di molto più pericoloso: esperienze, mutuo appoggio, STORIE.

4 - La lotta contro la Globalizzazione Neoliberale non è esclusiva di un pensiero o di una bandiera politica o di un territorio geografico, è una questione di sopravvivenza della razza umana. O l’umanità o il neoliberismo. Così come in altri precisi momenti della storia dell’umanità, moltitudini di forze hanno resistito e lottato contro il male, ora sono molte le forze che resistono e lottano contro il neoliberismo.

Parlo di quello che abbiamo visto ed ascoltato non solo nel nostro cuore scuro, anche durante il nostro periplo negli angoli del Messico del Basso.

Ed abbiamo la certezza che noi, cioè quelli che siamo ciò che siamo qui in basso, non abbiamo perso… e che loro, cioè quelli che sono sopra di noi, non hanno vinto. La storia del basso, non quella di eroi, leader e politici saltimbanchi, quella che facciamo noi uomini e donne, ha ancora molto da camminare e molto manca ancora per far girare la vecchia ruota della ribellione.

Nel nostro orizzonte non ci sono solo dolori e pene. Ci sono anche colori da scoprire e mondi da fare.

E bisogna nominare l’altro, l’altra, perché si tendano i ponti che, in basso, sono tunnel e corridoi nel tempo di un altro calendario e sulla mappa di un’altra geografia.

Cerchiamo in qualunque angolo del pianeta e ci incontriamo, da uguale a uguale, senza sopra né sotto, senza comando né obbedienza, con le donne che sfidano il destino di oggetto d’uso, con i giovani che resistono al conformismo ed alla rassegnazione, con gli altri amori che reclamano contro l’anormalità con la quale sono catalogati e classificati, con gli operai e contadini che resistono all’affilato ingranaggio del capitalismo e con gli indigeni che sono i guardiani della terra, della madre, della vita.

Cerchiamo lo specchio in basso, non per lamentare il dolore che sappiamo diffuso e profondo, ma per romperlo e per andare al domani di cui abbiamo bisogno e che ci meritiamo. Non tradiamoci fingendo sapienza dove ci sono solo cinismo ed inganno.

Eliminiamo dal nostro vocabolario la parole “resa” e “rassegnazione”. Innalziamo il “noi” che ora è frammentato, ma che domani sarà nell’unico modo in cui potrà esistere, cioè, in collettivo, in basso e a sinistra.

Allora riusciremo a far sì che la mela di Newton si unisca alla nostra ribellione e non prosegua il suo viaggio, fino ad ora irresistibile, verso il suolo. Resti dunque sospesa in aria fino a che una bambina, un bambino, la prenda e, con cura, le estragga i semi per seminarli in quel mondo che già esiste perché abbiamo osato sognarlo, cioè... perché abbiamo osato lottare per lui.

Molte grazie.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, giugno 2007

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