<i>"The Name of Our Country is América" - Simon Bolivar</i> The Narco News Bulletin<br><small>Reporting on the War on Drugs and Democracy from Latin America
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Narco News Issue #46

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“Non è mai stata così grande la distruzione e la stupidità dei governi”: Marcos

Dopo l’incontro continentale, indigeni d’America avverteno con la Dichiarazione di Vicam che difenderanno con la loro vita la madre terra


di Hermann Bellinghausen
La Jornada

18 ottobre 2007

La Jornada – Lunedì 15 ottobre 2007
La ribellione che scuoterà l’America non ripeterà percorsi e tappe di altre, dichiara
Marcos: “Non è mai stata tanto grande la distruzione e la stupidità dei governi”
Difenderemo con la nostra vita la madre terra, avvertono nella Dichiarazione di Vícam
HERMANN BELLINGHAUSEN

Vícam, Son., 14 ottobre – La ribellione che scuoterà il continente non ripeterà percorsi e tappe di altre che cambiarono il corso della storia, proclama questa notte il subcomandante Marcos nella cerimonia di chiusura dell’Incontro dei Popoli Indigeni d’America. “Quando cesserà il vento che siamo”, aggiunge, “ci sarà un nuovo tempo in cui saremo di tutti i colori”.

Dopo aver salutato in lingua yoreme, castigliana ed inglese, e prendendo le parole dalla tradizione yaqui, Marcos dice ai presenti, che sono raddoppiati questa notte a Vícam Estación: “Le quattro ruote della carrozza del denaro stanno ripercorrendo il cammino del sangue e del dolore dei popoli del continente”, in quella che definisce “la guerra più lunga nella storia dell’umanità, che dura da 515 anni”. Quella che si commemora ogni 12 ottobre.

Questa guerra riproduce ora “i tempi ed i metodi delle grandi encomiendas e le grandi haciendas, dell’epoca in cui le corone d’Europa si imponevano a ferro e fuoco”. Si riferisce alla repressione che usa eserciti e forze paramilitari, “come ai tempi della Conquista”, per eliminare intere popolazioni.

“Tuttavia, qualcosa è cambiato: non è mai stata tanto grande la distruzione e la stupidità dei governi, la brutalità contro terre e genti”. Perché, segnala il delegato zapatista, “stanno uccidendo il mondo”. Si dice che è “democrazia elettorale” ciò con cui i “prepotenti” fanno “l’affare” di portare il mondo alla catastrofe. Là in alto “non c’è speranza per i popoli indios”.

In questo incontro, “la memoria è stata il filo invisibile che unisce i nostri popoli”, spiega Marcos, e concentra la causa delle loro lotte in una sola parola, che viene dall’origine degli uomini: “libertà”. È quello che vogliono i popoli, prosegue, “e non può esistere senza giustizia né democrazia”. Confida che ci sarà “un mondo senza prepotenti”, qualcosa che oggi “sembra impossibile”.

Cresce l’esproprio di terre, denunciano

A sua volta, il rarámuri Francisco Palma legge la dichiarazione finale dell’Incontro dei Popoli Indios d’America. Si rivolge all’arroganza del potere, perché l’esproprio di terre e risorse dei popoli “cresce di giorno in giorno”. Ma, aggiunge, “crescono anche la resistenza e l’indignazione dei popoli”.

I 570 delegati di 67 paesi indigeni, provenienti da 12 nazioni americane, hanno dichiarato, a loro volta, nella Dichiarazione di Vícam: “Siamo discendenti dei popoli, delle nazioni e tribù che per primi hanno dato il nome a queste terre; siamo nati dalla nostra madre terra e conserviamo un sacro rispetto verso chi ci dà la vita e ci preserva nella morte; quindi, diciamo davanti al mondo intero che difenderemo e preserveremo con la nostra vita la madre terra”. Si riferiscono al “dolore subito per l’attacco degli invasori, che si basavano su falsi argomenti di esclusività culturale ed arrogante presunzione civilizzatrice, al fine di spogliare i nostri territori, distruggere le nostre culture e distruggere i nostri popoli”.

I partecipanti all’incontro proclamano il loro diritto storico alla libera autodeterminazione, “nel rispetto delle diverse forme di esercizio che decidano i nostri popoli, secondo la loro origine, storia e aspirazioni”. Ugualmente, respingono “la guerra di conquista e sterminio capitalista imposta dalle multinazionali e dagli organismi finanziari internazionali con la complicità delle grandi potenze e degli stati nazionali”.

Esprimono condanna per “la distruzione ed il saccheggio della madre terra attraverso l’occupazione dei nostri territori per la realizzazione di attività industriali, minerarie, agroindustriali, turistiche, di urbanizzazione selvaggia e infrastrutture, così come la privatizzazione dell’acqua, della terra, delle foreste, dei mari e delle coste, della diversità biologica, dell’aria, della pioggia, dei saperi tradizionali e di tutto quello che nasce dalla madre terra”.

Si oppongono “alla certificazione di terre, coste, acque, sementi, piante, animali e saperi tradizionali dei nostri popoli col proposito di privatizzarli”, e respingono l’occupazione e la distruzione dei centri e luoghi sacri, così come la mercificazione della loro cultura. Respingono anche il mega-progetto Escalera Náutica o Mar de Cortés e la costruzione della strada costiera dentro il territorio yaqui.

L’incontro ratifica il suo rifiuto delle Olimpiadi Invernali del 2010 “in territorio sacro, rubato alla nazione Tortuga allo scopo di installare piste da sci a Vancouver, Canada”.

Denuncia che la guerra di conquista e sterminio capitalista “acutizza come non mai lo sfruttamento dei membri dei nostri popoli nelle piantagioni e maquiladoras, o come immigrati in città o paesi lontani, dove sono ingaggiati nelle peggiori condizioni, arrivando a casi di schiavitú e lavoro forzato”.

Il rifiuto si estende ai grandi centri commerciali multinazionali “che spogliano delle risorse economiche le comunità”, e le politiche neoliberali, che indeboliscono le economie comunitarie e la sovranità alimentare e provocano la perdita delle sementi native. Si impegnano a cercare di ricostituire integralmente i loro popoli e rafforzare culture, lingue, tradizioni, organizzazione e governi propri.

“Sostenuti dalla nostra cultura e visione del mondo, rinforzeremo e ricreeremo le nostre istituzioni educative proprie, respingendo i modelli educativi che ci impongono gli stati nazionali per sterminare le nostre culture”.

Si pronunciano contro “ogni forma di repressione contro i nostri popoli, espressa nella militarizzazione e paramilitarizzazione dei nostri territori, lo sgombero forzato, la deportazione di massa, l’imposizione di frontiere per dividere e frammentare, e l’incarceramento e la sparizione di chi lotta per le rivendicazioni storiche dei nostri popoli”.

Una “presenza” forte è quella dei “prigionieri politici” indigeni assenti. Alcuni hanno mandato i saluti da El Amate (Chiapas) e Molino de Flores (Texcoco, in particolare la mazahua Magdalena García Durán). “C’erano” gli oaxaqueños di Loxichas, San Isidro Aloapam, l’organizzazione Vocal ed altri membri dell’Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca; anche gli zapatisti detenuti in Tabasco, così come il leader lakota Leonard Peltier. Per tutti è stata chiesta la liberazione immediata.

Gli yaquis di Vícam e di altri popoli sono intervenuti in gran numero nel pomeriggio, alla chiusura, durante la quale si sono svolte le tradizionali danze del Venado e la Pascola. Circa 3mila persone hanno partecipato al momento culminante dell’incontro.

(tradotto dal Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo)

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